Capita spesso che arrivino da me pazienti che si chiedono con grande sofferenza: “ma io… chi sono?”.

 

Questa domanda ha apparentemente una risposta semplice e banale. In verità, noi non siamo solo chi ci hanno detto di essere, non siamo solo un lavoro, né il nome e cognome che ci hanno dato e neppure un ruolo familiare (papà, nonna, etc.): siamo molto più di questo, e per cogliere chi o cosa a volte serve un aiuto. Ma perché è così difficile capire chi siamo? Cosa è un individuo?

Nella mia prospettiva, l’individuo non è semplicemente un “in-dividuo”; esso è piuttosto il punto nodale, di incontro, di tutte le reti consce e inconsce che lo attraversano. Per essere più precisi, l’individualità non equivale automaticamente ad una unità semplice e singolare; innanzitutto essa è “individuata relazionalmente”, ovvero composta dagli elementi con cui ognuno entra in relazione: altri individui, gruppi e reti verticali (relativa al passato, alle storie familiari) e orizzontali (relazioni gruppali attuali, ad es. amici, pari, colleghi di lavoro, compagni di attivismo politico o culturale o di sport,…).

Ma non è tutto qui!

Perché la vera soggettività è una conquista che parte dall’essere uguale all’altro e arriva infine alla fatica/meraviglia della propria personale invenzione.

 

Come dice Napolitani (in Lo Verso G., Di Blasi M., 2011), lo strutturarsi dell’individualità dipende da alcuni processi fondamentali:

  1. Il processo di identificazione, che va interpretato come introiezione delle modalità di pensiero e dei “temi culturali” familiari e culturali, con i quali l’Io originariamente si confonde;
  2. Il processo simbolopoietico ( < greco poieo, “fare”, e sumballo, “simbolo”, “nesso”), che corrisponde alla rielaborazione autonoma di questi temi, da cui l’individuo cerca di distinguersi alla ricerca di una propria singolare creatività e di nuovi simboli, nessi, significati soggettivi;

Ancor più specificatamente, l’identità individuale deriva da una continua oscillazione tra questi 2 poli (Lo Verso G., Di Blasi M., 2011), ovvero dalla tendenza a dare ascolto…

  • Ora al cosiddetto “idem”, ovvero all’“essere identico” alle matrici culturali in cui il soggetto si è formato, assoggettato al proprio gruppo di appartenenza come in una rete che contiene e tende a replicare automaticamente i propri codici (che tuttavia non va inteso in termini esclusivamente negativi poiché rappresenta anche le esperienze codificate, i percorsi collaudati, il bagaglio di conoscenze acquisite che “esonerano” dall’assillo della quotidianità);
  • Ora al cosiddetto “autos”, ovvero alla possibilità di accedere ad una dimensione di rivisitazione dei propri gruppi interni, di espressione creativa, di libera invenzione e trasformazione dei codici istituiti, di simbolopoiesi e di originalità; tale processo istituisce nuove connessioni tra i dati del mondo e approda alla formazione di un’individualità propria, non omologata alla rete primaria.

La dialettica tra questi due aspetti pone gli esseri umani al di fuori del circuito sopravvivenziale e inaugura un percorso esistenziale in cui “esistenza” significa “POSSIBILITA’”, grado di libertà, capacità potenziale sempre aperta, salute, speranza, pensabilità!

Corollario di ciò è che macro-obiettivo della terapia è per me imparare ad “essere” e “saper essere” “concepitivi” rispetto alla propria vita, dimensioni diametralmente oppose alla sofferta (e spesso ammalante!) condizione del “dover essere” propria dell’idem.

Ecco la fatica/meraviglia della propria personale invenzione!

 

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BIBLIOGRAFIA

Lo Verso G., Di Blasi M. (2011), Gruppoanalisi soggettuale, Raffaello Cortina Editore, Milano.