malessere – Psicologa a Palermo Noemi Venturella https://www.psicologa-noemiventurella.it Psicologa a Palermo Sat, 05 Mar 2022 11:05:26 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.5.14 https://www.psicologa-noemiventurella.it/wp-content/uploads/2020/04/cropped-favicon-venturella-psicologa-palermo-3-32x32.png malessere – Psicologa a Palermo Noemi Venturella https://www.psicologa-noemiventurella.it 32 32 E se ti dicessi che il tuo Corpo parla? https://www.psicologa-noemiventurella.it/esempi-clinici/e-se-ti-dicessi-che-il-tuo-corpo-parla-2/ https://www.psicologa-noemiventurella.it/esempi-clinici/e-se-ti-dicessi-che-il-tuo-corpo-parla-2/#respond Sat, 05 Mar 2022 11:05:26 +0000 https://www.psicologa-noemiventurella.it/?p=1802 A cura della dott.ssa Dominga Gullì e della dott.ssa Noemi Venturella 1.3 L’Ansia Somatizzata L’ansia è tra i motivi più frequenti per cui è richiesto un aiuto psicoterapeutico; spesso, infatti, dopo averla rimandata per anni, l'ansia dice “BASTA!”. E’ questo il momento in cui i suoi sintomi si acuiscono e divengono sempre più forti e [...]

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A cura della dott.ssa Dominga Gullì e della dott.ssa Noemi Venturella

1.3 L’Ansia Somatizzata

L’ansia è tra i motivi più frequenti per cui è richiesto un aiuto psicoterapeutico; spesso, infatti, dopo averla rimandata per anni, l’ansia dice “BASTA!”. E’ questo il momento in cui i suoi sintomi si acuiscono e divengono sempre più forti e persistenti.

Per comprendere la potenza dei sintomi ansiosi, possiamo subito notare come lo stesso termine “Ansia” (che deriva dal greco “Anchein” e dal latino “Angere”, ovvero “stringere”, “soffocare”, “angosciare”) riporti a un concetto di sofferenza fisica, a un senso di oppressione, di soffocamento, di impossibilità a respirare. L’ansia infatti è tra i disturbi con i maggiori sintomi corporei, comportamentali ed emozionali: tremori, vertigini, difficoltà respiratorie, paure specifiche e/o generiche, preoccupazioni, palpitazioni, dolori al petto, sudorazione, nausea, addormentamento degli arti, confusione mentale, pensieri rimuginanti e ripetitivi, scarsa memoria dovuta alla difficoltà di concentrazione e simili.

L’Ansia è comune a molte situazioni di disagio psichico ed è soprattutto il sintomo fondamentale dei Disturbi d’Ansia (disturbo d’ansia da separazione, mutismo selettivo, agorafobia, ipocondria, fobie specifiche, disturbo d’ansia generalizzata, disturbo di panico, fobia sociale, disturbo d’ansia indotto da sostanze, disturbo d’ansia causato da altre situazioni mediche).

Può essere definita come un sentimento di tensione, apprensione e inquietudine che nasce dalla rappresentazione di un pericolo (reale o immaginario, oggettivo o soggettivo); esso è però anticipato e amplificato nei suoi effetti, che sono vissuti in modo minaccioso. Il soggetto ansioso, dunque, TEME ANTICIPATAMENTE qualcosa che non è ancora presente, ma che potrebbe forse accadere.

  • Per essere più precisi, l’ansia è comunque uno stato affettivo innato che ognuno sperimenta fisiologicamente nel corso della vita e che, entro certi limiti, svolge una FUNZIONE ADATTIVA, poiché favorisce la mobilizzazione delle risorse psichiche e fisiche più adeguate ad affrontare una situazione impegnativa.

  • Diviene espressiva di PATOLOGIA PSICHICA quando vi è un’elevata sproporzione tra reale pericolosità dello stimolo ansiogeno e intensità e durata della risposta ansiosa… Fino al grado  più elevato in cui l’ansia non è più in rapporto ad alcun evento esterno né a contenuti mentali coscienti. In questi casi la persona può convivere con due disagi importanti e imponenti:
    a) vive con un costante senso di allarmismo e prova una tensione di fondo, che si cronicizza nel tempo se non si cura;
    b) compie svariate rinunce per evitare di ritrovarsi in situazioni che scatenano sintomi e disagi.

Riportiamo di seguito due Casi Clinici a titolo di esempio:

1)  Giovanna

Giunge in terapia per un’ansia invalidante che la sta bloccando nelle relazioni sociali e soprattutto nel sostenere gli esami universitari. Sin da piccola ricorda una grande sofferenza nel fare verifiche a scuola, ansia che manifestava con rigurgiti fin dal giorno prima, insonnia e dolori gastrointestinali. G. è una giovane adulta intelligente, loquace e sensibile; tratti che ci consentono fin da subito di costruire una solida fiducia terapeuta-paziente. G. mi affida il suo blocco in varie aree esistenziali:

  • non ha un’ampia progettualità futura – se non superare gli esami e forse laurearsi – e fa dipendere tutto dalle scelte professionali del suo partner;

  • soffre di amenorrea (senza alcuna disfunzione organica);

  • c’è un’impossibilità comunicativa con i genitori;

  • ha difficoltà con gli esami universitari, che da tempo sono diventati un circolo vizioso: studia, poi due settimana prima dell’esame inizia la sintomatologia fisica che causa emicrania, disturbi intestinali e rigurgiti; arriva così senza energia al giorno dell’esame, tanto da non potersi reggere in piedi per recarsi all’università. Nei casi in cui riuscisse ad andare, ii momenti prima dell’esame sono caratterizzati da disturbi intestinali e attacchi di panico che la portano a scappare dall’edificio.

La vita di G. è immobile e angosciante. Tuttavia i nostri incontri sono estremamente piacevoli, autentici, intensi e ci consentono di entrare dentro il “blocco”. L’infanzia di G. è caratterizzata da una subdola e continua violenza psicologica, e talvolta anche brutalmente fisica, del suo caregiver, che la impaurisce perfino quando è assente! “Sei brutta, sei incapace, guarda quanto ti sei fatta grossa… Tuo cugino si è laureato! Guarda quel tuo compagno quant’è bravo all’università…”. G. è una figlia sbagliata e non meritevole di affetto e stima… come potrebbe concedersi di superare esami e interrompere questo circuito in cui ormai si identifica? Non può neanche scegliere i suoi vestiti quando insieme alla madre va a fare shopping perché “i vestiti li sceglie chi li paga”.

Durante le narrazioni emerse nello spazio di cura, G. scorge che la violenza rivolta a lei è consuetudine nel rapporto della sua coppia genitoriale e che la Madre presenta anomalie comportamentali con il cibo e con la cura del corpo. “Forse qualcosa che non va c’è… e non è solo in me… Ma come faccio?”. Così G. inizia a ribellarsi a quelle modalità genitoriali arrabbiandosi, raccontando la sua sofferenza e decidendo di andare a vivere insieme al compagno; inizia a desiderare di diventare un professionista competente nel proprio settore e a sperare che i suoi progetti possano incontrarsi con quelli del compagno. I primi passi verso l’autonomia! Pian piano G. riprenderà i contatti con gli amici e instaurerà una relazione più matura con i suoi genitori, riconoscendo i loro limiti e avvalorando la loro presenza. G. non teme più il confronto con l’Altro e inizia a costruire relazioni che la fanno star bene. Gli esami universitari non sono più vissuti come evento catastrofico ma come momento che si può affrontare… Il ciclo mestruale ritorna!
Il blocco e l’incastro in cui G. viveva non consentiva al suo corpo di esprimersi per ciò che era e conteneva. Oggi G. è una persona che è riuscita a liberarsi dall’abito che gli altri le avevano cucito addosso ed è riuscita a scegliere e a indossare l’abito che più desiderava!

 

2) Giusy

Arriva in terapia con sintomi ansiosi che raggiungono l’apice la notte: è insonne, il suo ritmo sonno-veglia è sfasato (soprattutto dall’inizio della pandemia) e la notte è preda di una fame vorace che la porta a mangiare anche cibi detestati. Racconta di una famiglia “nomade”, che ha seguito gli spostamenti lavorativi del papà trasferendosi altrove dopo la fine del liceo della sorella …ma a metà del suo. Sentirà questo transito come una sorta di  tradimento delle sue esigenze, che non riuscirà più a individuare. L’economia familiare è organizzata da una madre severa con l’idea ossessiva della dieta e della perfezione. G., in effetti, è a dieta fin da bambina e non ama le sbavature: puntuale, studentessa da 110elode, presenzialista, paziente da “mille grazie” e da pagamento in anticipo.

Nel corso della terapia, emerge chiaramente che G. è chiamata ad essere magra e perfetta in contrapposizione ad una sorella nata con difficoltà e cresciuta talmente protetta da sviluppare deficit socio-relazionali e un’obesità importante. G. deve compensare tutto questo, compiacere sua madre, non deluderla mai: si è mangiata le aspettative della mamma come si farebbe con un piatto di pasta. Qualsiasi spostamento da esse, genera disappunti aggressivi e ipercriticismo da parte della madre e forti sensi di colpa. L’Altro, insomma, la organizza, ma la consapevolezza su questo funzionamento è osteggiata da un forte meccanismo di negazione che la porta a reprimere ciò che pensa: “tutto bene, non ho nulla da dirle oggi”. Spesso, infatti, G. si difende ed è difficile farla lavorare analiticamente. Il suo corpo, però, si oppone a questa repressione e sviluppa una particolare dermatite che si esprime in corrispondenza di forti stress.

Dopo quasi 1 anno di terapia, G. compie finalmente una scelta in base a parametri personali: lavoriamo insieme sulla scelta della specialistica da frequentare, che sarà alla fine non quella più blasonata o dal lavoro sicuro (insegnante come la madre) o meno onerosa per i genitori… ma quella che più la entusiasma. Certo, è una scelta impegnativa e prestigiosa… Dopo la quale G. decide che ha raggiunto il massimo che poteva fare in questa fase della sua vita. Ora deve dedicarsi al 100% all’università o si sentirà in colpa per far spendere soldi inutili ai genitori e per non essere all’altezza dei colleghi e degli standard previsti dai docenti. Non può dedicare tempo alla terapia, non può piangere (non le piace), non può sostare sul dolore che prova per ciò che l’ha resa “Giusy”; non può più distrarsi! Bisogna interrompere la psicoterapia!

Come Curare i Disturbi d’Ansia?

L’ansia funziona come un campanello d’allarme che può portare la persona a rivalutare i propri conflitti interiori e se stessa. In questi casi, la psicoterapia è un valido strumento per giungere a un equilibrio migliore. 

Da ciò che abbiamo riportato negli esempi clinici, è possibile dedurre che la causa dei disturbi d’ansia è multifattoriale: fattori genetici, familiari-educativi e ambientali sono tutti equamente importanti e si rafforzano l’uno l’altro. Un percorso di psicoterapia aiuta a individuare la causa profonda dell’ansia e va poi a risignificarla e a rimodularla.

Poiché i disturbi d’ansia sono caratterizzati da risposte eccessive a situazioni che non costituiscono una reale minaccia, il lavoro terapeutico ha l’obiettivo generale di permettere alla persona di normalizzare e di gestire meglio le situazioni vissute con ansia, favorendo scelte di vita coerenti con il proprio benessere, riducendo il malessere e superando i limiti dati dai sintomi. Essa agisce sul funzionamento globale della persona, aumentando la conoscenza di sé (compreso il significato dei propri malesseri corporei!), la gestione delle emozioni e rendendola in definitiva più libera e forte. Mette così la persona in condizione di acquisire un maggiore livello di sicurezza in se stessa.

La conoscenza e consapevolezza dei propri meccanismi interni – sia psichici, che somatici – e la comprensione profonda dei motivi e dei momenti della storia di vita che hanno originato la sintomatologia ansiosa sono un risultato a lungo termine della psicoterapia che rappresenta un arricchimento in grado di migliorare la qualità di vita della persona.

Continueremo nei prossimi articoli ad approfondire queste forme di disagi.
Tali approfondimenti sono da considerarsi esemplificativi e, certamente, non esaustivi della complessità dell’espressione del disagio umano. Qualora ti sia ritrovato in una condizione simile a quelle qui descritte puoi scriverci o contattarci!

Dott.ssa Dominga Gullì e dott.ssa Noemi Venturella.

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Riferimenti Bibliografici:

 American Psychiatric Association (2014), Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. DSM-5, Raffaello Cortina Ed., Milano;
 Barnhillhill J.W. (2014), Casi Clinici, Raffaello Cortina Ed., Milano;
 La Barbera D. (2003), Percorsi clinici nella psichiatria, Medical Book, Milano;
 Lingiardi V., McWilliam N. (2020), Manuale Diagnostico Psicodinamico PDM-2, Raffaello Cortina Ed., Milano.

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Psiche E’ mondo Sociale https://www.psicologa-noemiventurella.it/psicopatologia/psiche-e-mondo-sociale/ https://www.psicologa-noemiventurella.it/psicopatologia/psiche-e-mondo-sociale/#respond Wed, 11 Aug 2021 14:47:02 +0000 https://www.psicologa-noemiventurella.it/?p=1784 “Il sociale […] penetra l’essenza più interna della personalità individuale” (S. Foulkes). Proprio ieri commentavo di come alcuni fatti “sociali” ci riguardino direttamente come psicoterapeuti. Sempre ieri, infatti, accadeva che l'ente preposto alla raccolta di rifiuti ingombranti del mio comune non abbia rispettato l'appuntamento di ritiro e che dei concittadini abbiano cercato di rendere una [...]

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Il sociale […] penetra l’essenza più interna della personalità individuale”
(S. Foulkes)
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Proprio ieri commentavo di come alcuni fatti “sociali” ci riguardino direttamente come psicoterapeuti. Sempre ieri, infatti, accadeva che l’ente preposto alla raccolta di rifiuti ingombranti del mio comune non abbia rispettato l’appuntamento di ritiro e che dei concittadini abbiano cercato di rendere una discarica personale il punto di raccolta concordato, ché l’importante è che i rifiuti siano lontani dalle loro dimore (ma poco importa se vicino a quelle altrui). …Come ciò possa riguardare la psicoterapia è forse poco intuitivo, ad uno sguardo superficiale. In realtà, è per me fondamentale pensare come la natura della mente umana sia gruppale, sociale!

Il gruppo, diceva Foulkes, è la matrice della vita mentale dell’individuo!

Motivo per cui tali accadimenti mi riguardano come cittadina ed anche come professionista della cura. Ma come ciò entra nella stanza di terapia con me e i miei pazienti? Andiamo con ordine.

Partiamo dal dire col mio professore Girolamo Lo Verso che la “storia” e la personalità di ognuno sono co-costruite da tutti gli elementi del campo micro e macro-gruppale in cui egli “esiste”:

“La soggettività ha inizio ed evolve all’interno delle relazioni transpersonali individuo-famiglia-collettivo”.

Esiste infatti una sorta di matrice sovra-personale e sovra-ordinata rispetto al singolo che definisce il rapporto di ciascuno col mondo. In gruppoanalisi la chiamiamo “transpersonale” (S. Foulkes; letteralmente “oltre il personale”), proprio per sottolineare che essa va “oltre”, “oltrepassa” (dal latino “trans”) il livello del singolo individuo. Nello specifico, il termine indica come i processi gruppali e le esperienze collettive (passate e presenti) che essi contengono possiedano la qualità di “passare attraverso” gli individui, permeandone il mondo interno e le personalità.

Per dirla senza tecnicismi, il transpersonale è quella “storia” e “cultura” collettiva che fonda la nostra identità più intima senza che il nostro livello cognitivo riesca a concettualizzarla. Esso è infatti un fenomeno inconscio: l’individuo è inconsapevole della sua fondazione sociale! Al contrario, ritiene di essere un soggetto assolutamente singolare ed originale.

Per i nostri pazienti è in effetti difficile pensare che i loro problemi siano collegati alle dinamiche politiche, alle questioni climatiche, ai valori economici.

  • “Dice davvero dottoressa? Io sto male anche perché esiste Salvini che mostra che si può fare e dire tutto?” o “perché c’è un’etica della realizzazione perfezionistica e competitiva per cui o sono perfetto o sono fallito?”.
  • “E come influisce questo sistema politico nella mia incapacità di pensare a chi sono?”.
  • “Che c’entra il regime economico attuale con la mia inadeguatezza di madre?”.
  • Secondo lei sono così stressato perché non posso non pensare solo al lavoro e se dovessi pensare ad altro non ci sarebbe oramai più niente? Ma tutti quelli che conosco sono così…”.
  • “E mi scusi, ma se io a 46 anni ho sentito il desiderio di avere un figlio e oramai non ci riesco, perché dobbiamo chiederci da dove viene il problema? Non è tutto solo dentro di me?”.
  • “…Ah quindi somatizzo anche perché in questo sociale c’è uno spazio poco edificante per le emozioni negative? E il fatto che io non mi fidi più del mio prossimo potrebbe essere collegato all’idea di ‘distanziamento sociale salvifico’ indotta dalla pandemia?”.
  • “…Non ci credo proprio! …Cioè, la mia identità dipenderebbe dagli altri?!?”.

Frequenti sono frasi simili o stupite riflessioni vicine a questi esempi di fantasia.

Per molti di coloro che frequentano i nostri studi, i codici attuali, le appartenenze, i regimi economici e mediatici, le culture… non sono collegati ad es. agli attuali valori competitivi, alle nuove inadeguatezze sociali, ai desideri iperprestazionali, visuali, goderecci e di controllo totalitario. Una paziente, partecipando contemporaneamente a 7 o 8 concorsi, diceva: “sono in tranche agonistica, non posso essere stanca!”. Certo, la norma prevede che stiamo sempre sul pezzo, che la cultura e la formazione siano tra le nuove lobby da abbracciare (insieme alle aziende di tamponi), che non ci fermiamo mai, che stiamo sempre a macinare-macinare-macinare: cibi, abiti, soldi, sostanze varie, vacanze top, culture prêt-à-porter, tapis roulants, master, lavori e corpi da vetrina 7 su 7 e 18 ore su 24. Tutto “normale”, attuale, culturale. Non c’è possibilità che non lo si regga (“se non mi laureo in tempo, non importa il motivo, significa che non sono normale!”, dice F.)… Ed ecco che sorge il mal-essere!

Nel lavoro clinico assistiamo infatti alla dolorosa esplosione di solitudini, disturbi d’ansia, impossibilità a sentirsi adeguati, di neo-famiglie disequilibrate, di relazioni sfilacciate e o violente, di disturbi psicosomatici muti, di personalità fragili o, al contrario, borderline e narcisistiche alla ricerca dello sfruttamento dell’altro e del godimento… per dirne solo alcune. La patologia psichica, d’altronde, segue l’evolversi dei tempi.

Nostro compito di curanti è quindi anche interrogare il mondo che viviamo e chiederci con i nostri pazienti come non solo la famiglia d’origine, ma anche questi sistemi micro e macro-sociali interferiscano col benessere, con la salute psichica. Infatti, se il gruppo è la matrice della vita mentale, anche la salute e la malattia appartengono alla rete relazionale dell’individuo e non unicamente al singolo.

Nel cercare di alleviare il mal-essere dei nostri pazienti, è dunque fondamentale adottare uno “sguardo” circolare e non riduzionistico sui fenomeni umani. Importante comprendere da dove vengano certi modi di stare nel mondo, certi valori e certe sofferenze, e aiutare così i nostri pazienti stessi a comprendere ciò che esiste già ed a cambiarlo in funzione del ben-essere.

E’ vero infatti: “ὁ ἄνθρωπος φύσει πολιτικὸν ζῷον”: “L’uomo è per natura un animale sociale” (Aristotele). Esiste un solidissimo e continuo ponte tra individualità e collettività. L’una sta nell’altra e viceversa, perciò non curiamo nulla senza curare anche l’altra!

Per questo, occuparci dell’Altro, del mondo sociale, dei concittadini che inquinano e incendiano il mondo, significa per noi fare clinica e psicologia in modo complesso!

 

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BIBLIOGRAFIA

Giannone F., Lo Verso G. (1999), “Il self e la polis, il sociale e il mondo interno”, Franco Angeli, Milano

Foulkes S. H. (1976), “La psicoterapia gruppoanalitica. Metodi e prinicipi”, Astrolabio, Roma

Lo Verso G., Di Blasi M. (2011), “Gruppoanalisi soggettuale”, Raffaello Cortina, Milano.

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A cura della dott.ssa Dominga Gullì e della dott.ssa Noemi Venturella

1.1. Il Corpo come Sintomo

 

“Le malattie che sfuggono al cuore
divorano il corpo”
(Ippocrate)

“Cosa la porta qui?”. Sempre più frequentemente, i nostri pazienti arrivano in psicoterapia rispondendo a questa domanda inaugurale con la descrizione di malesseri corporei o con segni di più o meno chiare somatizzazioni.

L’uomo, d’altronde, “ha un corpo”, nel senso che attraverso esso fa l’esperienza della vita in modo concreto e tangibile, ed “è un corpo”, nel senso che i suoi gesti quotidiani si susseguono in automatico, come espressione del suo stesso essere, ovvero senza la consapevolezza di come essi si realizzano somaticamente.

Per noi psicoterapeuti, attenzionare il livello corporeo è fondamentale. E ciò non solo per le derive di una “civiltà dell’immagine” che induce più visualizzazioni, corpi in primo piano e voyerismi che pensieri. Ma soprattutto poiché, come dice Carotenuto, “il corpo non può mentire!“. “Non esiste migliore espressione di un’anima ferita del suo corpo”.
Questa ferita, infatti, è spesso muta, ma ci dà indizi di sé attraverso corpi tagliati, deformati da una alimentazione carente o eccessiva, asfissiati dall’ansia, costellati da dermatiti senza chiare cause organiche. O ancora, da sguardi concentrati su parti del corpo proprie e altrui, da attenzioni focalizzate su aspetti somatici, muscoli, selfie… piuttosto che sulla vita. Spesso, anche da una iper- o ipo-sessualità tutta corporea che esclude il piacere profondo e nutriente del vero incontro.

A seguito di un intenso confronto su questo tipo di pazienti che sempre più spesso ci capita di prendere in carico, abbiamo allora pensato di approfondire il rapporto mente-corpo con esempi clinici, teorie, percorsi di cura e spiegazioni. Questo, con l’obiettivo di facilitare nei nostri lettori l’individuazione di un malessere che necessita di cura e delicatezza e che, invece, oggi viene spesso sottovalutato fino alle più gravi conseguenze.

 

Noi riteniamo che il corpo parli e che pertanto vada ascoltato!

Come scrive Carotenuto, “La creazione artistica del corpo è un’attività prodigiosa, che riassume in sé tutta la complessità della psiche umana. Dalla proiezione alla sublimazione, esso diventa il riflesso dell’anima: la sua voce silente” (A. Carotenuto, 2002). Bisogna quindi imparare ad ascoltarla!

 

Una ulteriore complessificazione: l’Effetto-Pandemia

Come dicevamo anche qui, l’attuale pandemia da Covid-19 ha ulteriormente contribuito alla corporeizzazione del malessere, re-introducendo la fragilità e il pericolo di ammalarsi entro un sistema culturale fondato sulla rimozione della vulnerabilità umana. L’emergenza che tutti ci siamo ritrovati ad attraversare ha implicato un complesso e repentino cambiamento delle abitudini e dei ritmi di vita dell’intera società; il profilarsi di scenari incerti dove paure e speranze si avvicendano, ha generato, oltre allo stravolgimento del vivere quotidiano, una condizione di instabilità psichica. Un impatto che va aldilà del contagio virale; un impatto che coinvolge il contagio emotivo e che va a colpire l’equilibrio psicofisico di ognuno. L’obbligatorietà dello stare in casa ha inoltre implicato un maggiore contatto con se stessi e con l’impossibilità di agire con le solite fughe (tempi veloci, iper-produttivi, assenza di tempi “morti”) …che in alcuni casi si sono rivelati non sostenibili per le persone.

“Il corpo, non più strumento e condizione piena dell’umana immersione sensoriale nel mondo (A. Le Breton, 2007) e nella sua socialità, è diventato in questo tempo straordinario di crisi sanitaria, prima di ogni altra cosa, “luogo della vulnerabilità” (A. Le Breton, 2020), spazio della minaccia e del rischio, perché la malattia e la morte sono state percepite come in agguato, pronte a colpire nella forma invisibile di un virus che ha stravolto il mondo e che si trasmette nel contatto tra gli esseri umani” (E. Zito).

 

Cosa fare quando c’è uno (o più) sintomi corporei?

Il corpo è il primo tramite essenziale nella relazione sé-altro; in quanto tale, i suoi sintomi sono da considerarsi come peculiari espressioni – a livello corpo-mente-cervello – degli affetti che hanno superato la soglia dello stress grave e che pertanto si esprimono in una forma di dis-regolazione neurobiologica che attacca direttamente il soma (colpendo organi, nervi, pelle o con malattie del metabolismo e del sistema immunitario oppure turbando funzioni come sonno, digestione, battito cardiaco, pressione sanguigna, etc.).

I sintomi corporeizzati sono il risultato di uno “stress cronico emotivo persistente” che danneggia i tessuti o colpisce gli organi-bersaglio, cioè quelli che probabilmente già presentavano una vulnerabilità o familiarità, la cui causa comunque rimane la costante disregolazione affettiva creata da traumi relazionali precoci, rinforzata poi probabilmente dalle future relazioni negative e dagli eventi stressanti.

In queste Persone il sintomo spesso si stabilisce allo scopo di interrompere il collegamento emotivo con il dolore psichico, che viene così lasciato NON elaborato.

Questo però non è un processo di cura! La Persona vive comunque grandi difficoltà psichiche e forti sofferenze che troveranno remissione solo all’interno di un Percorso Psicoterapeutico che – con uno sguardo attento, analitico, che sa come guardare, esplorare, chiedere senza recare ulteriore “oltraggio” a quanto di sacro e protetto contengono questi indizi di sofferenza – possa re-iscrivere la persona in una nuova storia relazionale (C. Mucci, 2018).

 

Nei prossimi articoli approfondiremo ulteriormente queste problematiche.
Potete continuare a leggerci o a scriverci qualora vi siate ritrovati nelle situazioni qui introdotte!

 

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Bibliografia

Carotenuto A., Il gioco delle passioni, 2002
Anzieu D., L’Io pelle, 2017
Mucci C., Corpi Borderline, 2020
McDougall J., I teatri del corpo, 1990
Trombini G., Baldoni F., Psicosomatica, 1999
Zito E., Corpo, isolamento sociale e fatica digitale in tempi di pandemia, 2020, Narrare i gruppi.

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L’ardua impresa dell’Adolescenza https://www.psicologa-noemiventurella.it/esempi-clinici/lardua-impresa-delladolescenza/ https://www.psicologa-noemiventurella.it/esempi-clinici/lardua-impresa-delladolescenza/#respond Sun, 13 Jun 2021 15:29:26 +0000 https://www.psicologa-noemiventurella.it/?p=1767 Ogni adolescenza coincide con la guerra che sia falsa, che sia vera Ogni adolescenza coincide con la guerra che sia vinta, che sia persa (Tre allegri ragazzi morti). Il momento adolescenziale costituisce uno snodo verso la dimensione adulta. Come esprime l'origine della parola (da “adolescere”, crescere, e da “alĕre”, nutrire), l’adolescenza è un periodo di [...]

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Ogni adolescenza coincide con la guerra che sia falsa, che sia vera
Ogni adolescenza coincide con la guerra che sia vinta, che sia persa

(Tre allegri ragazzi morti).

Il momento adolescenziale costituisce uno snodo verso la dimensione adulta. Come esprime l’origine della parola (da “adolescere”, crescere, e da “alĕre”, nutrire), l’adolescenza è un periodo di grande variabilità, mobilità, fluidità. E’ un momento in cui il confluire del biologico, dello psichico e del sociale impongono al giovane un transito maturativo dal paradiso degli amori infantili, dove non occorre scegliere e rinunciare alla megalomania, all’età adulta; su di esso graveranno la storia dei genitori e la loro cultura sociale.

In quest’ottica, l’adolescenza non è solo un’età della vita; essa è un’esperienza i cui effetti vanno al di là della prima giovinezza.

E’ infatti il punto da cui può strutturarsi la patologia, ma anche la possibilità che il soggetto si organizzi per approdare funzionalmente all’età adulta.

Negli anni dell’adolescenza, il cambiamento fisico è rapido, sconvolgente e appariscente: il giovane nota ogni giorno nuovi segnali del suo divenire un individuo adulto. Ma per divenire davvero adulto, l’adolescente deve assolvere a complessi compiti di sviluppo:

  • deve raggiungere gradualmente l’indipendenza dai genitori;

  • accettare i cambiamenti tumultuosi del proprio corpo e adattarsi alla maturazione sessuale;

  • stabilire buoni rapporti di collaborazione tra i coetanei;

  • elaborare una propria filosofia di vita e un senso di identità personale.

Pertanto, l’adolescenza è anche un periodo di lutto per l’infanzia ed una seconda fase di separazione-individuazione dai genitori, le cui metamorfosi possono anche essere traumatiche. La pubertà crea infatti uno sconvolgimento dei punti di riferimento e del modo di pensare e conoscere il mondo.

La strada che l’adolescente dovrà percorrere prevede un transito dall’area familiare agli spazi esterni. Il lavoro dell’adolescenza procede infatti attraverso continue articolazioni tra passato e presente, dentro e fuori, vecchie e nuove identificazioni, permanenza e cambiamento. Meltzer lo descrive come il partecipare dell’adolescente, al tempo stesso, a 4 diverse comunità separate:

  1. comunità dei pari;

  2. comunità degli adulti;

  3. famiglia e suo essere bambino;

  4. isolamento (megalomania e onnipotenza).

In quest’ottica, un adolescente non è realmente ancorato in nessun posto (Meltzer); è in continuo movimento tra le diverse comunità perché il processo di crescita gli procura tanto dolore che egli può tollerarlo solo per un po’.

In questo viaggio, l’adolescente ricerca il sostegno degli adulti, ha come compagno il piccolo gruppo e come equipaggiamento il suo corpo.

Attraverso il suo nuovo corpo, egli può visualizzare la misura del suo progressivo cambiamento e dimostrare ciò che è in grado di fare; ma deve imparare a gestire la propria trasformazione e le proprie fantasie aggressive e distruttive. Di fronte allo scompiglio interno ed esterno, alle regressioni, alla confusione, ha perciò bisogno di adulti competenti che lo aiutino a riorganizzare il proprio mondo interno. L’adolescente si rivolge così allo sguardo dei suoi caregivers per scorgere l’effetto dell’impresa che sta compiendo; inoltre, ha bisogno di essere ammirato mentre si allontana.

Se la distanza tra il familiare e l’estraneo è avvertita come incolmabile, egli può mettere a rischio la nascita della propria identità. Per questo e per molti altri motivi, l’adolescenza di un figlio è un passaggio evolutivo critico per tutta la famiglia.

OGGI

L’adolescente di oggi incontra maggiori difficoltà nel processo di identificazione poiché privato di punti di riferimento stabili e flessibili: rituali di iniziazione socio-culturali, credenze condivise dai gruppi di riferimento, stabilità familiare.

Non a caso, nei nostri studi arrivano sempre più spesso giovani pazienti con disturbi comportamentali e personologici profondi. In queste patologie, la strategia difensiva consiste nello spostare all’esterno e, quindi sul sintomo, le esigenze interne, stabilendo, quindi, relazioni con oggetti sostitutivi più controllabili e garantendosi così un equilibrio psichico. L’effetto finale sarà un sintomo, ad es.:

  • comportamenti difensivi che vanno verso la noia, l’indifferenza, l’anestesia emozionale;
  • il ritiro su di sé (si parla sempre più spesso oggi di Hikikomori) o su oggetti sostitutivi facilmente padroneggiabili (droghe, cibo, corpo, agiti e varie altre anomalie della condotta).

In questi casi, il sintomo acquista un potere organizzatore sulla personalità e diviene il condensato attorno al quale l’individuo crea le sue relazioni e la sua interiorità, impoverendole.

Il caso di Gaia

Gaia (nome di fantasia) arriva in studio coi genitori e con una lunga lista di sintomi. E’ esile eprorompente allo stesso tempo, con delle forme che dominano lo spazio e, dice, ingombrano la mente. Non ha mai accettato il suo corpo come non lo hanno accettato gli altri; in effetti, è bullizzata fin dalla prima pubertà per via di una sviluppo fisico stupefacente, cui si accompagnava invece una grande ingenuità. La sua insicurezza di base si è trasformata nel tempo in sintomi somatici (deperimento, depressione immunitaria, etc.) e in paura a causa di contesti scolastici iper(s)valutanti e aggressivi, accompagnati da relazioni intime a tratti abusanti. Mentre gli adulti di riferimento erano impegnati nelle loro vicende personali (malattie, lutti, workaholisme), Gaia si dimenava come poteva in mezzo a tutto questo, arrivando ai 20 anni con sintomi ansiosi, ritiro relazionale e necessità di controllo che permeano la sua vita. E’ estremamente intellettualizzante, iper-adultizzata, curante verso gli altri, con uno spiccato desiderio di giustizia e di etica che sfoga sui social. Ma è anche fragile, sola, atterrita da ogni cambiamento. Come potrebbe crescere e diventare la giovane donna dotata che intravedo in lei, se restasse prigioniera dei suoi malesseri?

Questi sintomi vanno ascoltati e ben attenzionati. Il desiderio di vivere che anima la parte sana di Gaia la porta in terapia e a spoilerare a poco a poco le proprie difficoltà. Insieme, possiamo lentamente vedere come i suoi sintomi siano preziose comunicazioni che nascondono ciò che lei non può accettare, i suoi conflitti interni, le sue debolezze, le sue paure, le difficoltà che ha con le sue figure fondamentali.

In questi casi, è necessario ripercorrere a ritroso la strada che collega i sintomi ai conflitti interiori con la guida di un adulto di riferimento; e ciò al fine di aiutare l’adolescente a sviluppare la capacità di gestire il suo nuovo Sé senza averne una paura schiacciante. Per farlo, egli ha bisogno di adulti in grado di sostenerlo e per aiutarlo a coltivare autonomamente la sua nascente soggettività!

Dobbiamo essere una base sicura da cui il paziente possa esplorare i diversi aspetti infelici e dolorosi della sua vita, molti dei quali trova impossibile riconsiderare senza un compagno di cui abbia fiducia e che gli fornisca sostegno, incoraggiamento, comprensione e che, nel caso, faccia da guida. (J. Bowlby).

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Psiche + Soma: la Psicosomatica https://www.psicologa-noemiventurella.it/psicologo-psicologa-e-psicologia/psiche-soma-la-psicosomatica/ https://www.psicologa-noemiventurella.it/psicologo-psicologa-e-psicologia/psiche-soma-la-psicosomatica/#respond Thu, 01 Apr 2021 20:44:50 +0000 https://www.psicologa-noemiventurella.it/?p=1712 Come dice la stessa parola, la “Psicosomatica” (dal greco psiche, “anima”, + soma, “corpo”) è una scienza che si concentra sulle connessioni e sulle interazioni tra questi due mondi apparentemente distanti. "In un'accezione ristretta, con il termine 'psicosomatica' si intende quella branca della medicina che si occupa di disturbi organici che, non rivelando alla base [...]

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Come dice la stessa parola, la “Psicosomatica” (dal greco psiche, “anima”, + soma, “corpo”) è una scienza che si concentra sulle connessioni e sulle interazioni tra questi due mondi apparentemente distanti.

“In un’accezione ristretta, con il termine ‘psicosomatica’ si intende quella branca della medicina che si occupa di disturbi organici che, non rivelando alla base una lesione anatomica ο un difetto funzionale, sono ricondotti ad un’origine psicologica.

In un’accezione più ampia si intende invece quella concezione che – oltrepassando il dualismo psicofisico che, secondo il modello cartesiano, separa il corpo dalla mente – guarda all’uomo come a un tutto unitario dove la malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come disagio (U. Galimberti, Dizionario di psicologia, UTET, 1992).

Parlare di “psicosomatica” significa in sintesi parlare contemporaneamente del corpo e della mente e della loro costante relazione!

In particolare…

  • La parola „PSICHE“, ovvero “anima”, ha il doppio significato di “principio o sostanza vitale” e di “carattere personale”.

  • Il concetto di „CORPO“ comprende maggiori sfaccettature:

  1. A livello “medico”, il termine “soma” (dal greco sàgma = peso, fardello) esprime la dimensione biologica, più fisica, del corpo: l’uomo “ha un corpo”, nel senso di qualcosa di concreto e tangibile, ed “è un corpo”, nel senso che esso è parte della sua identità.

  2. Il corpo è anche una costruzione mentale, una rappresentazione di sé che si forma nella prima infanzia e si modifica per tutta la vita.

  3. Il corpo svolge inoltre un’importante funzione relazionale. Esso è fin dall’inizio vissuto in comunicazione con l’altro; attraverso il linguaggio non verbale possiamo esprimere emozioni e sentimenti, manifestare l’idea che abbiamo di noi stessi e veicolare aspetti che riguardano il nostro rapporto con gli altri.

  4. In ambito psicologico, il corpo è inteso come luogo di espressione (o di ricaduta) dell’esperienza psichica. Indica, in tal senso, la dimensione corporea dell’esistenza psichica!

Come infatti vediamo nei nostri studi di psicoterapia (ci siamo recentemente confrontate su questo con la cara collega dott.ssa Gullì!), fenomeni psichici e corporei sono strettamente legati (pensiamo ad es. ai disturbi d’ansia e ai paralleli sintomi sia psichici, sia fisici che generano!) e questo fin dalle origini della vita.
La psicologia dello sviluppo ci spiega come in un primo momento i vissuti del bambino coincidano con l’esperienza che egli ha di sé come corpo. Inoltre, inizialmente il neonato non percepisce distinzione tra sé e il corpo materno: egli attribuisce all’altro ciò che prova e, nello stesso tempo, riceve dall’altro una prima immagine di se stesso.
Con il tempo e all’interno di una relazione calda e sintonica con la madre, il piccolo sviluppa gradualmente la capacità di elaborare le proprie sensazioni sotto forma di pensieri, fantasie e sogni, differenziandole dai processi biologici e attribuendo loro un significato psicologico. Contemporaneamente, si formerà nel bambino un’idea di se stesso da un punto di vista corporeo (es. dello “schema corporeo” o “immagine del corpo”, della coscienza del proprio corpo, etc.).

Nonostante questi evidenti intrecci, entro lo studio dei fenomeni umani si è strutturata nel tempo una „scissione“ tra tra corporeo e psichico, per cui…

  • la medicina si è interessata soprattutto allo studio del corpo;

  • la psicologia ha trascurato gli aspetti biologici, occupandosi prevalentemente della vita mentale.

Ciò ha fatto perdere di vista l’unicità degli esseri umani, comportando importanti incomprensioni e gravi atteggiamenti riduzionistici nella lettura e nella cura della sofferenza umana.

Per fortuna, tuttavia, oggi è frequente sentire parlare di disturbi psicosomatici e degli effetti dello stress, delle emozioni non elaborate e dei disagi psicologici sulla salute fisica e sul benessere. Per questo motivo ho voluto scrivere di psicosomatica, ambito di studi incontrato all’università e che approfondirò prossimamente. Essa mi ha avvicinato alla fondamentale idea di pensare i miei pazienti come Esseri Complessi, fatti insieme di corpo & di mente; il corpo e la mente sono due facce della stessa medaglia: la loro articolata umanità!

La gruppoanalisi mi ha poi condotto ad approfondimenti ancor più specifici, e in particolare all’idea che la vita umana, come mostrano anche le neuroscienze, sia insieme mente, corpo & relazione! Essi vanno intesi come una Triade scindibile solo per comodità; sono infatti tre aspetti basici, ontologici, senza i quali non si dà esistenza!

Forse a sorpresa, direi in conclusione che la matrice originaria nel e dalla quale si nasce come “individui” non sta né nello psichico, né nel somatico.
“L’origine” sta nella relazione: senza essa, l’individuo non può essere concepito (né fisicamente, né psichicamente!) e non diventa “uomo”, né nel corpo, né nella mente.

Da relazioni si nasce. Di relazioni ci si ammala. Di relazioni, soprattutto, si guarisce ❤

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