“Cosa vorresti fare da grande?”

La prefazione di “Pappagalli verdi” di Gino Strada inizia con questa domanda. E’ questa la lettura che mi ha accompagnato nelle ultime settimane di riposo estivo. E ancora mi accompagna verso lunedì, il primo lunedì di Settembre, giorno della ripresa ufficiale del lavoro in studio. Mi accompagna con frasi e immagini di uomini feriti e menomati dalla violenza dei loro simili… Perché, pur se in modo diverso, nei pre-colloqui di agosto ho visto anch’io scenari di guerre sociali e familiari; soprattutto, ho visto ragazzi schiacciati, inesplosi, esplosi, tormentati dai sintomi e saturi di sofferenza spesso inesprimibile. Tante le richieste di aiuto. Tante le lacrime.

Ancora, questo libro mi accompagna perché la domanda “Cosa vorresti fare da grande?” che lo apre contiene il progetto: il progetto di sé che spinge verso la crescita personale e il futuro in un momento storico in cui è difficile pensarsi al di là dell’attimo fuggente. Abbiamo bisogno di progetti!

Inoltre, Gino Strada me lo porto perché – nonostante rafforzi la costante (pre)occupazione analitica per ciò che va accadendo nel mondo e per chi e cosa vengo ad accogliere io stessa in studio – mi fa ricordare che io da grande volevo fare la psicoterapeuta. Volevo fare questo lavoro già a 12 o 13 anni, e il progetto a poco a poco ha preso forma. A un certo punto ho avuto chiaro che volevo farlo in un’ottica in cui “la psicoterapia consiste proprio, ed anche, nel far sì che gli individui apprendano ad essere cittadini, che una volta usciti dallo stato di paziente abbiamo acquisito un’auto-coscienza ed una consapevolezza tale da essere ora finalmente capaci di relazionarsi con se stessi e con gli altri in una forma basata sulla fiducia verso se stessi e gli altri, sull’altruismo attraverso cui rispecchiarsi negli altri e sostenerli e sulla democraticità come riconoscimento degli altri CITTADINI come loro”.

Oggi lo sono (psicoterapeuta) e sento la responsabilità, la meraviglia e la fatica di questo mestiere.

Fare questo lavoro significa per me, come dice Maurizio Andolfi, è “fare del proprio meglio per utilizzare le proprie parti migliori. Uso tutte le parti che ho: il mio lato bambino, il mio umorismo, la mia parte più seria, la mia esperienza , la mia voce, l’intuizione…. essere terapeuti: dal fare all’essere, dal fare terapia all’essere terapeuta che significa: usare se stessi completamente. Dare a se stessi il permesso di fare quello che si ritiene più utile ed efficace nella specifica situazione. Ci sei tu con te stesso e la tua esperienza….la scuola della vita, gli eventi della vita. introdurre nella scuola della vita delle famiglie un po’ di speranza, nuove energie, nuove possibilità… attraverso gli errori e i fallimenti…”.

E’ con questi sentimenti – uniti sempre alla bellezza del vedere e ri-vedere, dell’incontrare e re-incontrare, del costruire e del co-costruire – che mi approccio alla ripresa ufficiale del lavoro con i miei pazienti questo primo lunedì di Settembre.

Con me porto questo libro perché so bene che io da grande volevo fare la psicoterapeuta, anche in mezzo alla sofferenza e alle guerre interne ed esterne. E perché anch’io, mentre non mi tiro indietro, “Spero solo che si rafforzi la convinzione […] che le guerre, tutte le guerre sono un orrore. E che non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere la facce di quanti soffrono in silenzio” (Gino Strada).

I tempi delle palingenesi rivoluzionarie assolute e totalizzanti sono finiti, ma ci sono luoghi di rivoluzione nei posti più impensati” (Moni Ovadia).

Buon lavoro a tutti!

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BIBLIOGRAFIA

Andolfi M. (2014), Teacher in the School of Life, in Insegnante nella Scuola della Vita (2014) – IMDb

Strada G. (1999), Pappagalli verdi. Cronache di un chirurgo di guerra, Feltrinelli, Milano.